Ti racconto una storia, quanti gettoni hai?

All’apparenza può sembrare un luogo come tanti, uno di quelli che non può mancare nei quartieri universitari, dove l’utile si lega all’economico e al rapido in una triade vincente. Un luogo asettico, sterile, freddo. Ma, visto sotto un’altra luce, può diventare un luogo d’incontro e confronto, un luogo dove scorrono vite e pensieri a ritmo di centrifuga e dove, assieme ai panni, si lavano via anche le preoccupazioni: questo luogo è la lavanderia a gettoni.

Quale location migliore per ambientare… un libro? Elisa Cattini, autrice dell’ultimo romanzo edito da Errekappa Edizioni, Vite a gettoni, ci svela fin dove la sua passione per le storie l’ha portata.

 

Elisa, com’è nata l’idea di questo romanzo?

La vera domanda è dove. Tutto ha avuto inizio proprio come inizia la storia del mio romanzo: in una lavanderia a gettoni; ci sono andata non troppi mesi fa perché avevo necessità di lavare un piumino. Appena entrata, in pochi istanti, è emersa tutta la mia difficoltà nell’affrontare le cose pratiche: come funzionano queste lavatrici? E i detersivi dove sono? Per fortuna un uomo gentile, che ho poi inserito nel mio racconto, mi ha dato qualche dritta e alla fine ci sono saltata fuori.

L’esperienza, tutto sommato, è stata positiva. Sembrerà stupido, ma delle lavanderie a gettoni mi è piaciuta soprattutto l’idea di avere del tempo a disposizione mentre si aspetta che i panni si lavino. Tempo che poi ho deciso di impiegare nel modo che preferisco: scrivendo. È stata mia madre a suggerirmelo: “Sai Elisa, questo sarebbe proprio il posto giusto in cui scrivere”.

La mattina seguente ero di nuovo in lavanderia, e, mentre aspettavo che finisse il programma di lavaggio che avevo impostato, ho scritto un post su Facebook, al quale un mio caro amico ha risposto: “Questa idea non puoi lasciarla andare, devi scrivere un romanzo. Si vede che era destino. In pausa pranzo dello stesso giorno avevo già scritto l’inizio di quello che sarebbe diventato Vite a gettoni.

 

Hai preso ispirazione da una tua esperienza personale per scrivere la trama del libro?

Diciamo che le storie che racconto tra un lavaggio e l’altro sono pezzi di vita che non ho vissuto, ma che avrei voluto vivere. Alcune sono vicende inventate, molte altre sono reali. Per l’ambientazione del libro, nel cuore della Bologna universitaria, ho preso ispirazione dalla vita di mia nipote che è uscita di casa per studiare proprio come la protagonista, Allegra, mentre molti dei personaggi, così come le storie sono attinte dal mio quotidiano.

 

Perché hai scelto di ambientare il tuo romanzo proprio a Bologna?

Bologna è stata costantemente presente nella mia vita: ho iniziato ad andarci fin da piccola, perché i miei genitori avevano un banco al mercato in Piazza dell’8 Agosto. Ho sempre avuto una grande passione per questa città che, anche da adulta, ho vissuto molto, sia di sera nei tanti locali e ristoranti che offre, che di giorno, tra giretti in città e per negozi. Purtroppo però non sono riuscita a viverla da universitaria, anche se mi sarebbe piaciuto, così ho deciso che almeno la mia protagonista doveva avere questo privilegio: vivere lì.

 

Quali sono i luoghi di Allegra?

Il cuore della città: Piazza Maggiore, San Petronio, Via Pescherie Vecchie, una zona di grande passaggio e di grande vitalità, dove oltre ai negozi ci sono luoghi d’incontro, locali e ristoranti, e la famosa Via Zamboni. Mentre scrivevo questo romanzo vedevo Allegra solcare via dell’Indipendenza, passeggiando lungo tutto l’anello che conduce all’università, fino ad arrivare in Piazza Verdi.

 

Chi è il lettore ideale di Vite a Gettoni secondo te?

Il range è abbastanza ampio, spazia dall’adolescente di 15-16 anni che si trova ormai ad affrontare la vita adulta, sia nelle faccende pratiche sia in quelle sentimentali, per arrivare a chi questo percorso l’ha già vissuto e, grazie a questo romanzo, può ricordarlo con un sorriso.

 

Nella vita di Allegra non può mancare l’amore, quello delle farfalle nello stomaco, quello delle prime volte, quello per un ragazzo più grande: Tommaso.

Allegra lascia il suo nido, una madre presente e affettuosa, una casa nella quale ha vissuto senza particolari sforzi e si trova sola in una città nuova, alle prese con le prime faccende adulte. Mi piaceva l’idea che in quest’uomo già fatto, adulto e realizzato, Allegra trovasse un rifugio… come lo è la lavanderia e come lo sono le storie in cui viene coinvolta nel corso del romanzo. Così come mi piaceva che emergesse il fatto che non ci sono stereotipi e che non v’è certezza di protezione o cura dietro un abito elegante e qualche capello bianco. Anche questa è vita, con tutte le contraddizioni che si porta dietro.

 

Tra passaggi piccanti e note poetiche racconti l’amore tra Allegra e Tommaso…

Qui, Allegra si lascia condurre. Vive d’impulso la sua passione com’è normale che accada a 20 anni, quando in teoria non si è ancora frenati da eventuali fallimentari esperienze, non troppo feriti per lasciarsi completamente andare. Si scopre in grado di condurre un gioco che però, nella lunga distanza, nelle sfumature, sente più grande di lei. Ma lei lo vive comunque con il suo modo fresco, giovane e lo paragona alla sensazione dell’affidarsi a qualcuno, come la prima volta che salì sulla giostra al parco.

 

La protagonista si reca in lavanderia dove spesso, come una calamita, si imbatte in persone che hanno bisogno di sfogarsi con lei. Che ruolo ha l’ascolto nel tuo libro? 

È fondamentale, anche se non è stato messo al centro del racconto di proposito: è un riflesso della mia personalità. Io amo ascoltare e ho la tendenza ad esserci esattamente nel momento in cui le persone hanno bisogno: mi sento bene ad aiutarle.  Forse è un lascito della clown terapia, con la quale ho allenato la capacità di ascolto verso chi soffre. In ogni caso, la protagonista di un romanzo scritto da me doveva per forza essere in grado di mettersi in ascolto. Non saper o voler ascoltare equivale a perdersi una grandissima opportunità, anche perché, entrare nella vita delle persone per caso, o perché a chimica ti reputano capace di ascoltare, ti fa cambiare la tua visione del mondo.

 

Il finale del tuo libro è aperto. Nelle ultime pagine Josette sta per raccontare la sua storia alla protagonista, ovviamente all’interno della solita lavanderia. Hai previsto un seguito?

Sì, ci sarà un “Vite a gettoni, parte seconda”. Josette nella realtà è una cara amica che di recente ha vissuto un evento drammatico nella sua vita, in seguito al quale ci siamo avvicinate molto. Ho voluto inserirla nel mio romanzo perché per me è un esempio di forza, nella vita di tutti i giorni quanto nel racconto. Josette soffre molto, ma tra le righe si percepisce un senso di speranza, di coraggio: sta riuscendo a farcela, ad andare avanti, a vivere la sua vita che inevitabilmente “accade”. Può essere che il seguito del libro parta proprio da qui, raccontando il suo nuovo inizio.

 

Hai seguito un filo conduttore particolare nello scrivere il libro?

Ho scritto il libro di getto, tralasciando forse anche molti dettagli che preferisco che le persone si immaginino mentre leggono, ognuna a modo suo. Ma c’è un filo conduttore che mi ha guidata, sì, anche se, lo confesso, me ne accorgo solo ora mentre ne parlo: far emergere ciò che le persone hanno dentro e la loro forza di superare le difficoltà. La vita a volte ci nega affetti, amore, cose materiali, ma nel frattempo scorre, e noi dobbiamo continuare a viverla con grinta e felicità…

Elisa Cattini e il suo Vite a gettoni vi aspettano al Salone internazionale del Libro di Torino il 18-19-20-21 maggio, allo stand di Errekappa Edizioni.

 

 Giulia Rossi

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